intervista e foto: Marco Ristuccia
Sapete cos’é un “blomanzo”? Probabilmente ancora no, ma questo neologismo vi risulterà presto familiare, perché pare si stia diffondendo a macchia d’olio. E sapete chi è l’artefice di questo nuovo termine? Si chiama Ben Apfel, pseudonimo dietro cui si cela un giovane e bravo scrittore originario del sud Italia, che ora vive in Germania, nei pressi di Berlino.
A questo punto sarete almeno un po’ curiosi di sapere cosa sia questo fantomatico blomanzo, e forse, riflettendo sulla professione del suo ideatore, alcuni tra voi avranno già mangiato la foglia. E’ presto detto: un blomanzo altro non è che un romanzo pubblicato su un blog. E il blomanzo di Ben Apfel, gratuito e di qualità, sta riscuotendo un grandissimo successo su Internet, diventando un fenomeno virale.
Il titolo è “Fare fuori la medusa”, e Ben lo descrive come “un romanzo di formazione che scandaglia i sentimenti con la lente dell’ironia e atmosfere rarefatte”. Potete “bleggerlo” all’indirizzo www.farefuorilamedusa.com. La pagina Facebook la trovate invece qui.
Ma attenzione, meglio avvisare subito i recordisti della lettura: è vero che il blomanzo è fruibile in maniera gratuita, ed è altrettanto certo che lo si può leggere sul sito sopra indicato. L’autore ha però deciso di associare alla classica esperienza di lettura la suspense tipica delle serie TV. Fare fuori la medusa è infatti pubblicato in capitoli a cadenza settimanale, ciascuno dei quali prende luce rigorosamente alle ore 00:01 del giovedì mattina (per intenderci, nella notte tra mercoledì e giovedì). Al momento siamo a poco più di metà strada dalla conclusione.
Oltre all’interessante e originale “confezione” sopra citata, devo ammettere che il “succo” c’è: Ben scrive con grande fluidità, ironia, piglio e un tocco di surrealtà che caratterizza il suo stile personale. Ogni capitolo si legge tutto d’un fiato e senza mai “inciampare”. Questo buon succo, unito alla nuova confezione, ha permesso al giovane autore di superare le barriere imposte dal mondo dell’editoria tradizionale, ed è il motivo principale per cui Fare fuori la medusa vanta ormai migliaia di lettori giornalieri.
Ho avuto il piacere di intervistare e fotografare Ben Apfel, che considero non solo un ottimo scrittore, ma anche un perfetto rappresentante della famiglia dei moderni “enterpreneur”. Mi riferisco con ciò all’attualissimo fenomeno dei giovani imprenditori di se stessi che grazie ad Internet e ai moderni social network intercettano nuove opportunità di lavoro autonomo.
Con il limite del mantenimento del suo anonimato, pubblico con piacere qui di seguito la nostra interessante e lunga (preparatevi) chiacchierata, che copre parecchi aspetti dell’utilizzo dei moderni sistemi di informazione e condivisione sociale.
Ben, come sei approdato alla scrittura? Che tipo di studi hai fatto?
Anche se amo molto la matematica, ho condotto gli studi classici, perché era quello il settore a cui naturalmente ero più incline. Scrissi il primo racconto quando avevo solo sei anni. Pensa che di recente un mio amico scrittore l’ha letto e mi ha confessato: “Caspita ma scrivevi benissimo! Che ti è successo dopo?”.
Scrivere mi è sempre piaciuto, e col passare del tempo è diventata una cosa regolare. Certo a 13-14 anni non avevo ancora l’intenzione chiara di fare lo scrittore. Anche perché tutti i miei parenti mi consigliavano di diventare avvocato, data la mia indole polemica. Ma io m’innamorai subito di una definizione ascoltata per caso, e dell’idea che sottintendeva: “pasticcere di produzione propria”.
Quando finalmente, intorno ai 15 anni di età, considerai più seriamente l’ipotesi di fare lo scrittore, mi venne subito il terrore. Reputavo infatti molti dei grandi autori della storia della letteratura classica piuttosto noiosi. Ma il fatto che fossero il punto di riferimento di tutti, compresi i miei genitori, mi convinse che per avere successo avrei dovuto raccontare anch’io storie noiose. E questo proprio non lo volevo fare. Fu un pensiero che mi tormentò per parecchio tempo.
Poi per fortuna crescendo mi resi conto che scrivere impegnati e noiosi “mattoni” non era l’unica via percorribile. E sono ancora oggi dell’idea che la cosa più importante sia piuttosto che le persone di cui parli dicano qualcosa di vero e interessante sull’umanità, e che le storie tocchino delle corde universali. Per intenderci, mi riferisco a quello che accade nei libri d’avventura come Moby Dick o le opere di Stevenson, o quelle di Mark Twain.
Insomma, non sono certo le menate diaristiche che interessano alla gente.
Quali sono i tuoi scrittori preferiti. C’è qualcuno a cui ti ispiri particolarmente?
Di piacere e influenza possiamo sicuramente discutere. D’ispirazione no, non mi ispiro a nessuno, preferisco avere una mia personale “voce”. Tra i grandi mi piacciono sicuramente Céline, Stephen King e Carver. Certamente la letteratura americana, ma ho anche un amore smodato per i Russi, perché hanno qualcosa di molto caratteristico che mi coinvolge. Parlo ad esempio di Gogol, Bulgakov e, in seconda battuta, Dostoevskij.
Non mi piace ad esempio Gadda. Non fraintendiamoci, lo trovo interessante come studio. Ma resto convinto, e lo dico anche un po’ provocatoriamente, che la letteratura debba essere una forma più leggera d’intrattenimento. E sarebbe bello che questa provocazione la cogliessero anche gli addetti ai lavori, perché l’idea che essa sia esclusivamente una dottrina d’élite ha fatto solo male alla letteratura.
Bisognerebbe poter gridare “leggete perché è divertente” e non solo “perché è istruttivo”. Sono convinto che sia l’atto stesso del leggere, il tipo di fruizione, anche di un racconto per così dire “leggero”, a lasciare sempre qualcosa di importante al lettore.
E non sono forse la semplicità, la capacità di sintesi e l’utilizzo di un vocabolario essenziale, in fondo, a dare alla luce i contenuti più poetici?
Giacché scrivi in italiano, immagino che gli editori a cui ti riferisci siano anch’essi italiani. Come mai hai scelto di vivere in Germania? Non ti sembra di essere un po’ lontano dal pubblico e dalle opportunità di lavoro cui uno scrittore italiano dovrebbe fare riferimento?
Volevo semplicemente andarmene dall’Italia, per fuggire dai tanti aspetti del mio Paese che mi procuravano amarezza. E allora ho cercato un luogo che fosse esattamente l’opposto, dove sicuramente non esiste ciò che m’infastidisce dell’Italia. Certo, magari qui non c’è neppure ciò che mi piace, vedremo…
Insomma, dopo aver ultimato un grosso lavoro di oltre mille pagine, ancora non edito, avevo bisogno di cambiare il “parco giochi”, il contesto che mi circondava, per raccogliere nuove ispirazioni.
Purtroppo l’unico modo per godersi appieno l’Italia senza arrabbiarsi è viverla da turista, ed è così che faccio, tornandoci di tanto in tanto per brevi periodi.
Come ti è venuta in mente l’idea di pubblicare un romanzo su Internet? Che esperienze hai avuto in precedenza con blog e altri strumenti di pubblicazione informatica?
Sono sempre stato piuttosto ottimista e aperto nei confronti delle nuove tecnologie. E del fatto che qualunque strumento innovativo, se usato con creatività, porti con sé un grosso potenziale da esplorare e sfruttare.
In un mondo dove, per esaurimento naturale, iniziavano a scarseggiare le nuove opportunità, l’avvento di Internet ha aperto nuovi orizzonti per tutti. E questa volta le possibilità sono realmente al di là dei limiti naturali di ogni singolo individuo, quindi praticamente infinite.
Come al solito occorre comprendere come sfruttare correttamente questi nuovi strumenti, senza commettere l’errore di rimanere imbrigliati nella la rete delle consuetudini. E senza trascurare i risvolti squisitamente sociologici.
Per fare un esempio negativo possiamo prendere Amazon, esperimento non del tutto riuscito a mio parere. Amazon vuole essere l’editore, il distributore e persino il lettore. Ciò che però manca del tutto è la selezione qualitativa.
Invito chiunque a fare l’esperimento di scorrere i trailer o le prime pagine dei libri, offerte gratuitamente da Amazon a scopo promozionale. Ci si rende subito conto di avere spesso a che fare con pubblicazioni scritte “di fretta”, per usare un eufemismo. La vetrina di Amazon non aiuta per nulla il pubblico nella scelta di un buon libro. E difatti normalmente i lettori accedono al portale avendo un titolo già chiaro in testa, verificato grazie alle opinioni di affidabili critici e addetti ai lavori, come Alessandro Baricco o Umberto Eco ad esempio, e non certo tramite le fantomatiche “stelline” che accompagnano ogni offerta. Tra l’altro confesso di non reputare nessuno dei due autori poc’anzi citati un bravo narratore, come recensori invece li considero attendibili…
Per concludere il discorso, col tempo mi sono fatto un’idea sempre più chiara di come andrebbe sfruttato appieno uno strumento complesso come Internet, e ho deciso di provare le mie teorie sul campo.
Come ti è venuta l’idea del blog e della pubblicazione a puntate?
Sono sempre stato convinto che la Rete sia un meraviglioso strumento di divulgazione. Si possono potenzialmente raggiungere milioni di utenti in un baleno. Avendo ormai in cantiere parecchi canovacci e progetti in fase avanzata, mi sono detto: “Perché non provare a realizzare questo esperimento di diffusione?”. Ho quindi pescato dal cassetto uno dei lavori che più si accostavano ai principi di semplicità, leggerezza e spessore caratteriale di cui ho parlato prima.
Mi era già chiaro che la prima regola dovesse essere quella di evitare al lettore qualunque “ostacolo” alla fruizione. E non parlo solo del mezzo, che deve consentire una lettura facile e scorrevole, ma anche del “patto” che si sottoscrive implicitamente col pubblico, che deve garantire chiarezza e trasparenza, pena la mia stessa reputazione.
Come mezzo ho scelto il blog, perché mi è sembrato lo strumento che più naturalmente si adattasse alla struttura di un romanzo a capitoli. Ma al pensiero “casual”, in cui ogni post vive di vita propria scollegato dagli altri, ho sostituito una coerenza d’insieme che rende il blog stesso un’unica opera finita. Un “blomanzo”, appunto!
Mi stuzzicava il pensiero di ripescare l’idea del romanzo d’appendice. Uno degli esperimenti più riusciti in questo senso fu condotto dallo stesso Stephen King, con “Il Miglio Verde” negli anni ‘90. Ho quindi deciso di adottare anch’io il meccanismo dell’uscita periodica.
Per quanto riguarda il patto con il lettore, ho stabilito che Fare fuori la medusa dovesse essere un dono. E quando dichiari questo al tuo pubblico, non ci devono essere né se né ma. I capitoli continueranno a uscire in forma gratuita, fino alla completa pubblicazione dell’opera.
I personaggi della storia sono reali o fantasiosi?
I personaggi sono assolutamente reali, esistono tutti, e ovviamente fanno parte della mia sfera di conoscenze passate o attuali. Questo romanzo ha sicuramente un fondamento autobiografico, almeno in parte. Voglio però precisare che odio le pubblicazioni autobiografiche di concezione classica. A chi potrebbero interessare infatti le vicende di vita di un perfetto sconosciuto raccontate per filo e per segno?
Fare fuori la medusa è autobiografico più nel senso delle “suggestioni evocate” che nel racconto dei fatti in sé.
Oltre che con la storia stessa e la suspense dell’attesa settimanale, come tieni viva l’attenzione dei lettori? E quanto tempo dedichi giornalmente a quest’attività?
La cross-medialità è un’altra delle caratteristiche fondamentali di Internet. Per il già citato principio di semplicità e chiarezza di fruizione ho deciso che il blog dovesse rimanere esclusivamente libro e spazio commenti.
Ho però aggiunto diversi altri luoghi virtuali. Primo tra tutti la pagina Facebook, che svolge il ruolo di piazza principale, dove ho creato un ambiente eterogeneo di pubblicazione e scambio reciproco. Attorno ad essa gravitano poi altri spazi sociali, come la pagina Google+, il canale YouTube che ospita video-suggestioni legate al romanzo, gli account Twitter dei personaggi principali e uno spazio Tumblr ricco di gif animate. Nico poi, la complessa e sfuggente protagonista del romanzo, ha una pagina Pinterest e anche un account Instagram. E naturalmente ogni personaggio è protagonista attivo nel suo spazio virtuale, interagendo con i lettori che possono così approfondirne la conoscenza.
Oltre ad ospitare varie iniziative, tra cui un medagliere che premia i lettori che si distinguono particolarmente, la pagina Facebook è anche il mezzo attraverso cui sto raccogliendo varie proposte di collaborazione da parte di fotografi, musicisti, grafici e vignettisti. E’ mia ferma intenzione coinvolgerli in questo o nei prossimi progetti. Ho già qualche idea in proposito, ne parlerò a tempo debito.
Mi affido ad esempio a loro per la distribuzione di adesivi-volantini promozionali in varie città del mondo. I volantini, che rappresentano in un certo senso la copertina di Fare fuori la medusa, hanno un codice QR stampato sopra. Attraverso il QR e uno smartphone, con un semplice “click” il blomanzo apparirà magicamente davanti agli occhi del casuale passante, che potrà proseguire il suo tragitto leggendolo.
La pagina Facebook funziona alla grande, ed dopo tre soli mesi di vita è giunta a 900 iscrizioni, vantando un passaggio settimanale di più di 2500 utenti. Il blog ha ormai 3500 iscritti e più di 2000 commenti.
Questi numeri lasciano chiaramente immaginare cosa significhi intrattenere i lettori all’interno della “biosfera” nei giorni che intercorrono tra l’uscita di un capitolo e il successivo. Dedico davvero il 100% delle mie risorse all’interazione con i miei “amici virtuali”, ogni giorno, attraverso tutti i canali sopra descritti.
Da bambino, quando leggevo un libro, sognavo di avere sempre l’autore a disposizione, per soddisfare qualunque mia curiosità. Voglio che questo sogno si realizzi per i miei lettori.
Immagino che, come tutti gli aspiranti scrittori, prima di questo esperimento avrai tentato la via classica. Cosa ci puoi raccontare del tuo approccio in qualità di giovane autore con il mondo dell’editoria italiana?
Ho già pubblicato un saggio e parecchi racconti in importanti riviste di letteratura italiana.
Ho anche un agente, e questo è importante. Gli agenti sono solitamente anche i lettori privilegiati delle stesse case editrici a cui propongono gli scrittori. Sanno quindi bene cosa offrire e a chi offrirlo, e hanno grande influenza sulle scelte dell’editore.
Ho provato a pubblicare anche altri romanzi, ma l’opinione unanime degli editori è sempre stata la stessa: i miei lavori sono “spiazzanti”. In un certo senso si tratta di un’apertura. In realtà questo giudizio vuol soprattutto dire che non se la sentono di investire su un giovane, seppur bravo, che non abbia ancora un’audience garantita e una regolarità di produzione accertata. In pratica hanno paura della novità.
Mi riferisco ai grandi editori, che proprio per questo preferiscono di solito lasciare lo “svezzamento” dell’esordiente alle piccole case editrici. E’ molto più comodo infatti “accoglierlo in casa” quando avrà già acquisito un suo pubblico e prodotto un discreto numero di opere.
Il tuo esperimento mi ricorda parecchio la nascita del concetto di “open content” e le discussioni che ne seguirono. L’open content, Wikipedia ne è un ottimo esempio, si fonda sul principio che la conoscenza debba essere libera, gratuita e facilmente accessibile. I guadagni di chi offre questa tipologia di contenuti di solito si “spostano” sui servizi a valore aggiunto (consulenze, funzionalità aggiuntive). Ma spesso i ricavi sono scarsi e i progetti vengono portati avanti esclusivamente grazie a comunità di entusiasti costretti a un secondo mestiere per sopravvivere.
Posso chiederti come si concilia il tuo grande impiego di tempo e risorse su un’offerta gratuita con l’esigenza di dover pagare l’affitto e le bollette? Qual è la tua strategia, il tuo business plan?
Purtroppo parecchie realtà aziendali ancora oggi non hanno capito nulla di come funziona la Rete. Per iniziare, si sono accorte di questo nuovo mezzo troppo tardi, perdendo un vantaggio strategico fondamentale. Si sono fatte prendere in contropiede dalla cosiddetta “pirateria”, che ha capito immediatamente la potenza di Internet come mezzo di distribuzione e, soprattutto, come “leva moltiplicativa” dei guadagni.
Facciamo un esempio. Se sei un classico negozio di città che vende film “home video”, avrai qualche centinaio di clienti. Se invece svolgi la stessa attività su Internet i potenziali acquirenti diventano milioni. Perciò, riuscendo a raggiungerli tutti, puoi permetterti di vendere un film al prezzo di 1 euro invece che 20. Le possibilità di guadagno rimangono comunque stratosferiche!
Se le major avessero capito in tempo questo semplice fatto, offrendo al pubblico i loro prodotti a prezzi irrisori, la pirateria non avrebbe avuto ragione di esistere. Quest’ultima infatti non è assolutamente in grado di garantire lo stesso livello di qualità e affidabilità. Parlando di film ad esempio, ciò che scarichi illegalmente contiene spesso tracce audio e video orribili.
Il prezzo alto di un film è giustificabile solo quando lo si va a vedere al cinema, dove insieme alla proiezione stessa ti viene “venduta” anche un’intera esperienza di visione: la sala buia, lo schermo grande e l’audio avvolgente. Ed è in quel frangente che le major coprono abbondantemente le spese di produzione. Il resto è tutto guadagno puro.
Dunque l’approccio su Internet deve essere quello di vendere a prezzi irrisori, fornire gratuitamente le funzionalità di base, garantire un prodotto di qualità e lavorare sodo sulla diffusione. Skype, il noto software di video-chiamata, è un ottimo esempio di questa filosofia.
Nel mio caso specifico, poi, questo primo blomanzo ho voluto offrirlo del tutto gratuitamente proprio perché ora voglio massimizzare l’aspetto della diffusione. In pratica sto investendo su me stesso. In questo modo i miei potenziali acquirenti imparano a conoscermi, a fidarsi di me e a stimarmi. Questo vantaggio che ti dà la rete, la visibilità intendo, è un aspetto fondamentale che troppo spesso viene sottovalutato. Si tratta di un’opportunità incredibile, che negli anni ‘80 aveva un costo incalcolabile. Ed è il giudizio del pubblico poi ad operare la selezione tra chi “sopravvive” e chi “muore”. E’ la rivincita del modello valoriale!
Grazie a tutto ciò ho già ricevuto parecchie offerte di pubblicazione da parte di svariati editori. Questo modello di business quindi per me ha già funzionato. Posso ritenere l’esperimento perfettamente riuscito.
Insisto su questo discorso perché a mio parere è la chiave del cambiamento di paradigma in atto oggi, chiave che ancora non siamo riusciti bene a decifrare. Per cui ti chiedo ancora: trovi corretto che un esperimento all’avanguardia come Fare fuori la medusa, basato su concetti e strumenti moderni di condivisone dell’informazione, debba poi “tornare indietro ” su mezzi antiquati come la pubblicazione cartacea per poter effettivamente monetizzare il duro lavoro fatto?
Non sono d’accordo. Chi ha detto che occorre per forza tornare alla carta? Sto valutando attentamente anche diverse proposte per la produzione e la vendita di ebook. Esistono molteplici canali, percorribili parallelamente tra l’altro, perché spesso i loro bacini di utenza sono del tutto disgiunti. A questo aggiungiamo la grande opportunità di moltiplicare il pubblico dei lettori attraverso la traduzione del romanzo in altre lingue…
Oggi si parla di musica liquida ma si stampa nuovamente il vinile, di fotografia digitale ma c’è un forte ritorno alla pellicola e alla stampa. Quanto conta ancora oggi il “feticcio”? Ami ancora i libri cartacei o preferiresti che tutto diventasse digitale?
Il “feticcio” è fondamentale, mi piace da impazzire! E come piace a me, piace anche a molta altra gente.
Il problema della pubblicazione elettronica sta a mio parere nell’oggetto che utilizziamo per fruirla: lo smartphone, il tablet o l’e-reader insomma.
Purtroppo la gente oggi, almeno in Italia, legge solo nei ritagli di tempo, durante i cosiddetti “tempi morti”. Mi riferisco ai tragitti in treno o in metropolitana, alle spiagge, ecc…
Tutti posti in cui con un dispositivo delicato e costoso in mano non ti senti al sicuro. Il libro invece è indistruttibile, se ti cade basta raccoglierlo. Questo aspetto, che sembra banale, è invece di importanza fondamentale.
Penso che gli ebook avranno realmente successo solo quando verranno distribuiti su un supporto che abbia le caratteristiche di resistenza, tattilità e praticità di un comune libro cartaceo. Devono possedere una texture e una copertina da sfiorare con le dita, e devi poterli riporre uno accanto all’altro in una libreria. Chi inventerà per primo una cosa del genere avrà fatto bingo! Lo dico agli editori: se non lo capite voi lo faccio io, la sfida è lanciata!
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Vorrei continuare sul blog. Proporre nuove storie al mio pubblico, e studiare nuovi orizzonti virtuali da spalancare e utilizzare. Ma i prossimi mesi vedranno l’approdo su Internet, e non solo, di altri miei lavori. Racconti, romanzi, e altro.