Nel suo libro L’inizio del buio, Veltroni racconta parallelamente le storie di Alfredino Rampi e Roberto Peci, le vicissitudini, per la prima volta, nella storia del nostro Paese, sono finite sotto la luce dei riflettori dei media. Basti pensare che la vicenda di Alfredino è stata documentata, ininterrottamente, 24 ore su 24, dalle telecamere della RAI sul luogo della tragedia. Da quel momento in poi, secondo Veltroni, l’Italia avrebbe cambiato volto e si sarebbe generato l’inizio del buio. Gli italiani avrebbero smesso di avere una fiducia incondizionata nel futuro e la televisione sarebbe entrata definitivamente nella vita privata delle persone.
“Come tutti gli italiani, il 10 giugno 1981, rimasi folgorato al tg2 delle ore 13 dalle urla di Alfredino. Un tecnico del giornale radio aveva calato un microfono nel pozzo, durante la notte, dov’era caduto il bambino. Io non ho mai sentito niente di più terribile di quelle urla. Per cui mi sono messo a lavoro: era come se avessi il dovere di parlare di quell’evento. Alla stessa ora, alle 19:00, nello stesso giorno dello stesso mese e dello stesso anno, quando Alfredino cade nel pozzo, Roberto Peci viene rapito dalle Brigate Rosse.
Roberto Peci era il fratello di Patrizio Peci, il primo brigatista che ha collaborato con la giustizia. Per tale motivo, questo ragazzo, che di mestiere faceva l’antennista, fu tenuto a lungo sotto sequestro in una tenda, in una zona periferica a Roma, bendato, con una cuffia sulla testa per 55 giorni. Per la prima volta, le Brigate Rosse riprenderanno la vicenda con la telecamera, filmando anche la sua sentenza di condanna a morte. Una voce sguaiata, fuori campo, dice in romanesco: “le Brigate Rosse condannano a morte il traditore Roberto Peci”, il quale, naturalmente, appare distrutto. Quello che non si sapeva – rivelatomi da uno dei brigadisti – è, che, spenta la telecamera, Roberto ha alzato la testa, ha guardato i suoi carnefici ed ha chiesto: “Sono andato bene?”. I brigatisti gli avevano detto che se lui avesse dimostrato il massimo di disperazione, questo avrebbe commosso l’opinione pubblica e avrebbe aiutato la sua liberazione. Ciò che di più spregevole possa esistere è stato messo in campo. Roberto Peci verrà portato, in seguito, di notte in una casupola in un posto di degrado. Legato, con le orecchie chiuse, viene appoggiato ad un muro, dove gli sparano addosso 11 colpi di pistola”.
Così ha iniziato il suo discorso Walter Veltroni, il 7 giugno, di fronte ad un numeroso pubblico presso l’Istituto di Cultura Italiano, dove si è tenuto l’evento “I media tra partecipazione e manipolazione, che lo ha visto protagonista, per la presentazione del suo nuovo libro L’Inizio del Buio, insieme ad Alessia Cocca, che ha inaugurato la sua mostra Le Rose di Alfredo.
Prima di iniziare il suo discorso Walter Veltroni ha voluto porgere i suoi ringraziamenti all’Ambasciatore d’Italia, Michele Valensise e consorte, al direttore dell’Istituto il prof. Aldo Venturelli, a Paolo Lepri, corrispondente del Corriere della Sera e moderatore della serata. Un ringraziamento particolare lo ha rivolto ad Alessia Cocca, grazie alla quale, è nata l’idea di questo evento. “Alessia mi scrisse un’email per comunicarmi che lei aveva realizzato un progetto che riguardava lo stesso tema del libro e allora ho trovato bello fare qualcosa insieme”, ha dichiarato Veltroni.
Nel suo libro L’inizio del buio, Veltroni racconta parallelamente le storie di Alfredino Rampi e Roberto Peci, le vicissitudini, per la prima volta, nella storia del nostro Paese, sono finite sotto la luce dei riflettori dei media. Basti pensare che la vicenda di Alfredino è stata documentata, ininterrottamente, 24 ore su 24, dalle telecamere della RAI sul luogo della tragedia. Da quel momento in poi, secondo Veltroni, l’Italia avrebbe cambiato volto e si sarebbe generato l’inizio del buio. Gli italiani avrebbero smesso di avere una fiducia incondizionata nel futuro e la televisione sarebbe entrata definitivamente nella vita privata delle persone. Fino al 1981 si era abituati a seguire gli avvenimenti dei personaggi storici come l’assassinio di Kennedy o il rapimento di Aldo Moro. Dunque la novità della vicenda sta nel fatto che Alfredino è un bambino ed un cittadino privato: la sua caduta nel buio è, simbolicamente, la caduta nel buio della contemporaneità, dove ognuno di noi è esposto alla coscienza universale attraverso il constante, ossessivo bombardamento di informazioni. La nostra è una società mediatica dove si possono ricevere ed inviare notizie in tempo reale da ogni angolo del mondo attraverso il cellulare, internet, la televisione.

Walter Veltroni, durante la presentazione del suo libro, insieme a Paolo Lepri - Foto: Emilio Esbardo
Veltroni assolve i giornalisti che si occuparono di Alfredino, perché lo fecero onestamente, molti di essi hanno realmente pianto per come è andata a finire la vicenda: è stata una ferita drammatica per la maggioranza del Paese. Basti dire
che il punto massimo di ascolto furono 28 milioni di ascoltatori. Attraverso la capacità narrativa di Veltroni, le persone presenti in sala, hanno rivissuto quei momenti drammatici, che tutt’ora commuovono.
“Alfredino era un bambino di sei anni con problemi di salute”, inizia il discorso Veltroni, “aveva problemi di respirazione. Sarebbe dovuto essere operato a settembre. Una sera di giugno esce con il padre, il quale si mette a parlare con altre persone. Alfredino si annoia e dice: torno dalla nonna. Lui inizia a correre ma non sa che il terrapieno sul quale sta correndo è stato sbancato, perché stanno facendo delle opere abusive. Stanno costruendo un pozzo artesiano abusivo, dove Alfredino vi cade. Se io dico che è precipitato in un pozzo lungo 36 metri, fa ancora più paura. Se io vi dico che 36 metri corrispondono a 13 piani di un palazzo, ci si può rendere conto cosa può aver provato questo bambino a precipitare nel buio per 13 piani e a fermarsi in uno spazio che era poco più di 30 centimetri. Lui si ferma perché c’era uno spuntone di roccia. Rimane con le gambe a penzoloni, sottosopra all’acqua. E lì inizia la storia di questo bambino che combatte per sopravvivere. Quella notte i vigili del fuoco fanno un errore drammatico perché gli mandano giù una tavoletta di legno pensando che Alfredino potesse aggrapparsi e salire per 36 metri: la tavoletta, però, è più larga del buco. Loro non sapevano che un pozzo artesiano va a restringersi. Arrivano, così, gli speleologi, i quali cercano di andare giù e di tagliare questa tavoletta e di arrivare da Alfredino. Loro ci mettono troppo tempo e allora il capo dei vigili del fuoco, dice: “Fermi tutti, ho io la soluzione, dobbiamo trovare una gigantesca trivella”. Allora non c’erano i cellulari, per cui telefonano a tutta Roma per trovarne una. La trivella arriverà lì alle 8 del mattino. La loro idea era di scavare a un metro di distanza da Alfredino, scendere a 39 metri, fare un buco orizzontale e da sotto prenderlo e riportarlo su. Loro non hanno però calcolato che quello era un terreno vulcanico, particolarmente duro. Le trivellazioni durano tutto il giovedì e il venerdì mattina. Arrivati a 32 metri, hanno paura che Alfredino non possa resistere più a lungo e decidono di fare il buco orizzontale. La diretta televisiva, in contemporanea su tutte le tre reti televisive, inizia alle ore 13. Giunge anche il Presidente della Repubblica Pertini. Lì si erano riuniti nel frattempo migliaia di persone. Io stesso mi ricordo di aver pensato che se iniziano la diretta televisiva, vuol dire che lo tirano fuori, perché non possono mettere un Paese in uno shock spaventoso come questo. Le ambulanze erano già sul posto, avevano preparato il pigiamino, quindi psicologicamente il Paese non vede l’ora di vedere questo bambino, di cui si conosceva il volto solo attraverso una foto, pubblicata su Paese Sera e trasmessa al Tg1. Alle 19 finalmente terminano il pozzo: dovevano lavorare con calma perché non potevano mandare la terra addosso al bambino. Quando si affacciano, però, Alfredino non c’è; le trivellazioni hanno mosso la terra e lui è scivolato per altri 24 metri. Allora capiscono che non possono fare null’altro che cercare delle persone disposte ad andare giù in fondo. Ci provano con degli speleologi e non ci riescono. Io ho trovato nell’archivio di Stato, che hanno mandato un aereo in Germania presso il Circo Orfei, dove c’era un nano, che si credeva potesse entrare nel buco. Angelo era un sardo che di mestiere faceva il tipografo. Ad un certo punto, torna a casa, sente la televisione, va nella stanza da letto e si misura le spalle. Esce poi di casa, dicendo alla moglie di andare a comprare le sigarette. E invece si reca a Vermicino. Riesce a passare tutti i controlli. Gli fanno dodicimila obiezioni – Non hai paura? Non hai malattie? – e alla fine lo calano giù. Attraverso il microfono della televisione si sente l’intero dialogo tra lo speleologo ed Angelo, che dalla fretta di giungere diceva: molla, molla. Riesce a toccare Alfredino, che è imprigionato, però, in una morsa di fango e non riesce a tirarlo su. Dopo essere riuscito a rimanere giù per più di 45 minuti, ed essere riuscito solamente a toccare la testa di Alfredino e ad avergli pulito la bocca, Angelo viene tirato su. All’uscita non ha più la pelle sulle gambe. E qui termina la storia di Alfredino. Se questa storia, la si ricorda nei dettagli, c’è la grandezza di questo bambino, che ha combattuto da solo, in fondo ad un pozzo, da mercoledì 19 fino al venerdì all’una di notte”.
Dopo l’episodio di Alfredino si svilupperà velocemente in Italia il fenomeno della manipolazione della popolazione attraverso i media e della speculazione delle tragedie private per aumentare il numero degli ascoltatori. Come esempi basti citare i fatti raccapriccianti di Avetrana o di Cogne, dove i giornalisti per attrarre l’attenzione e giocare sulle emozioni della gente hanno persino disegnato il modellino della stanza dove era avvenuto il fatto. La domanda, che a termine serata, Veltroni porge a se stesso e alle persone presenti in sala è: “È normale che succeda questo? Bisogna fare una legge o sta nell’etica del giornalista evitare di fare macelleria informativa?”.
Le foto, che fanno parte dell’esposizione Le rose di Alfredo di Alessia Cocca, richiamano metaforicamente il tema della caduta nel buio delle nuove generazioni, i cui ragazzi raffigurati, che nel 1981 avevano la stessa età Alfredino, si trovano a vivere una condizione esistenziale difficile, in totale solitudine, senza sicurezze per il futuro. Le foto di Alessia vogliono rappresentare, in sintonia con il libro di Veltroni, la condizione di schiavitù della società italiana dall’informazione spazzatura dei media italiani, che troppo spesso speculano sulle sofferenze delle persone per aumentare gli indici di ascolto.
Testo e foto di Emilio Esbardo