Turchi a Berlino

La scrittrice turca Emine Sevgi Özdamar nel Ristorante Bacco di Massimo Mannozzi a Berlino - Foto: Emilio Esbardo

di Emilio Esbardo

Per non perdersi in ripetizioni, l’autore richiama l’attenzione sulla corrente letteraria turco-berlinese, attualmente molto importante. Si lascia mostrare la città dai conoscitori della Berlino contemporanea…[1]

Come sono belle le notti a Berlino, quando nevica. Ha un cuore bianco Berlino, i bambini non gelano, il freddo è per loro come una fiaba d’inverno. Nelle birrerie la testa mi gira con della calda vodka…[2]         

La numerosa presenza dei turchi a Berlino ha delle radici storiche, che risalgono addirittura a trecento anni fa:

L’inizio dei rapporti diplomatici, a partire dal diciottesimo secolo, si riflesse in una vera e propria moda turca nella società occidentale. “Mangiare datteri appartiene al buon ambiente di Berlino, e i damerini si pongono un turbante sul capo”, è una frase di Federico II (…) Nella letteratura e nel teatro i turchi divennero “la quintessenza della saggezza e del buono”, anche “proiezione di fantasie esotiche” o metafora politica. Nell’arte, architettura, moda e scienza divennero i turchi-osmanici percettibili …[3]

I turchi hanno influito molto sulla cultura della capitale tedesca, hanno lasciato tracce nella letteratura, politica, moda, economia, etc. ed esattamente come tutti gli altri, una volta a Berlino, ne hanno vissuto il presente e ne hanno lasciato testimonianza scritta (altro modo per conoscere il passato di questa metropoli che, durante la seconda guerra mondiale, ha perso molto del suo patrimonio storico). Esattamente come ci fa notare il medico e poeta Cenab Şahabeddin:

Effettivamente Berlino è cambiata, cambia e continuerà a cambiare molto, senza dubbio: perché è giovane. Chi cerca in una città il passato, allora Berlino non piacerà …[4]


Analizzando alcuni scritti turchi a partire dagli anni venti, mi sono reso conto che possiamo ripercorrere tutte le tappe storiche più importanti di Berlino, dai dorati anni venti alla presa del potere dei nazisti, ai bombardamenti, al Muro, fino ai giorni nostri. Lasciando parlare soprattutto i testi degli autori, darò un assaggio di queste testimonianze storiche.

Nel 1919 era già presente una comunità di turchi, costituita soprattutto da studenti:

Questa flotta di studenti, che si godette i divertimenti della metropoli, si diede da fare anche nel leggendario Türkischer Club, punto di incontro e patria dei turchi a Berlino, alloggiato allora al primo piano di un edificio all’angolo tra Bleibtreustraße e Kurfürstendamm…[5]  

Sabahattin Ali è uno di quei studenti che avevano ricevuto una borsa di studio per la capitale tedesca. Ali diventerà uno scrittore e ambienterà due suoi racconti a Berlino: Die Madonna im Pelzmantel e Die Schönheit von Kostanza. In Die Madonna im Pelzmantel ci narra dello studente turco Raif che si innamora della pittrice, mezza ebrea, Maria. Nella trama riusciamo a cogliere l’atmosfera inebriante dei dorati anni venti. Inoltre fa una buona descrizione del Romanisches Café, il caffè più famoso degli anni venti. Ma ciò che più mi preme dire è che anche gli uomini turchi, che vivono l’atmosfera di libertà e indipendenza di Berlino, desiderano delle donne emancipate:

Sabattin Ali, che fu a favore “dell’uguaglianza e libertà” nell’amore e nella relazione e contro l’oppressione della donna, riuscì, con il racconto Madonna im Pelzmantel, a mostrare un nuovo tipo di donna…[6]

Niyazi Berkes è un testimone del primo manifestarsi dei nazisti:

Una mattina, non ricordo se molto presto o tardi, diedi un’occhiata alla sala da pranzo e la trovai vuota. Mi sedetti ad un tavolo dell’altra parte della sala, avevo già ordinato la colazione, quando improvvisamente entrò un uomo che a squarciagola gridò: “Heil Hitler”…[7]

La cantante Saadet İkesus è spettatrice della “notte dei cristalli”:

… Lavoravo nella mia camera, quando la proprietaria dell’appartamento entrò. I suoi occhi erano arrossati, e io le chiesi perché aveva pianto. Era ebrea, e suo marito e suo figlio erano andati avanti e indietro con la macchina per non essere presi. Le SS avevano assaltato i negozi e arrestato i proprietari, tra gli altri anche i proprietari della lavanderia per signore Neumann, dove lavorava suo figlio. Entrambe eravamo esterrefatte. Era la notte dei cristalli, come sarebbe stata chiamata in seguito. La padrona di casa indicò una cassettina di metallo nelle sue mani e disse: “In questa cassettina ci sono tutti i nostri oggetti di valore. La prego di conservarla per noi. Perquisiscono le case…”[8]

M. Turhan Tan, uno scrittore turco di romanzi storici di successo e insegnante di geografia, storia e letteratura, ha assistito al giubileo di un consolidato regime hitleriano:

Nei giorni della mia permanenza in Germania si percepiva l’eccitazione per l’annessione dell’Austria, nei cuori e per le strade. Io stesso ho celebrato il rumoroso entusiastico pulsare, l’uniforme, armonica pulsazione di diecimila cervelli berlinesi, che ascoltavano attentamente i tre lunghi discorsi del Führer. Diecimila erano divenuti “uno”, e da tutti i cuori si sollevava un’unica voce…[9]

H. Kuraoğlu ha vissuto l’ultimo anno di guerra in città e ci ha descritto quei terribili e tragici giorni:

Non credo di esagerare, quando dico che per 200 grammi di caffè si aveva in cambio una bicicletta, una macchina fotografica…[10] (…) Il maledetto scoppio delle bombe, il violento vacillare degli edifici come con un terremoto e infine fuochi e incendi snervavano fortemente. Alcuni svenivano o impazzivano. Persone che avevano perso il giudizio, correvano fuori dalla cantina sulla strada, dove un terribile destino li aspettava. Bombe incendiarie che cadevano sui sentieri e strade di legno e asfalto, facevano fondere l’asfalto, così che la strada bruciava in tutta la sua lunghezza e si trasformava in un fiume di fuoco e fiamme…[11]

Prima della Seconda Guerra Mondiale, i turchi che si recarono a Berlino, lo fecero come studenti, artisti, turisti, etc.. A partire dagli anni sessanta, dopo il conflitto, giunsero come immigrati a causa della povertà della loro patria. Erano alla disperata ricerca di posti di lavoro e dovevano mantenere famiglie numerose. Molti dei loro figli, però, riuscirono a riscattare le povere condizioni sociali. Berlino offrì loro numerose possibilità soprattutto a livello artistico:

Durante l’ondata migratoria degli anni sessanta il numero dei turchi è aumentato. Circa 2 milioni di immigranti della Turchia vive in Germania, 140.000 dei quali a Berlino (…) All’inizio erano “lavoratori ospiti”. Per questo gli fu offerta una florida carriera: “da contadino a lavoratore retribuito in fabbrica!”…[12]

Nel luglio 1965, dopo tre giorni e tre notti, in un treno straordinario pieno di gente, mia madre giunse, più morta che viva, assieme al figlio di sette mesi, alla stazione centrale di Monaco … poche ore più tardi la famiglia sedeva in uno dei tanti vagoni in viaggio per Berlino … la vera delusione la si ebbe alla vista della nostra nuova abitazione nella terra promessa … un monolocale grosso dodici metri quadrati con servizi igienici e una cucina monoblocco, uno sgabuzzino sinistro che i miei genitori avrebbero dovuto dividere con un’altra famiglia di lavoratori ospiti (…) credevano che il lavoro fosse la migliore lotteria. Così riempivano fabbriche e officine di montaggio, stavano in piedi o sedevano davanti alla catena di montaggio, lavavano o pulivano i pavimenti, ricevevano un impiego presso la nettezza urbana o andavano a lavorare come portieri per i gabinetti …[13] (…) Oggi siamo io e mia sorella i figli snaturati, dei quali i nostri genitori vanno fieri. Non si sarebbero mai immaginati una figlia attrice e un figlio scrittore. Gli anni delle battaglie per il nostro futuro sono terminati…[14] 

La testimonianza letteraria sopracitata è di Feridun Zaimoglu, nato nel 1964 a Bolu in Turchia, ma cresciuto in Germania e divenuto famoso per i numerosi romanzi, in cui utilizza il linguaggio giovanile turco-tedesco. In molti titoli dei suoi libri troviamo la parola “Kanak”, che viene utilizzata dai tedeschi per riferirsi in modo spregiativo agli immigrati mediorientali e in particolar modo ai turchi: Kanak Sprak, Kopf und Kragen e Kanak-Kultur-Kompedium.  Ha ottenuto nel 2003 il premio della giuria Ingeborg Bachmann, e hanno portato sul grande schermo il suo Abschaum[15] (con il titolo Kanak Attack). Egli fa parte della nuova generazione turca che si è affermata artisticamente nella Berlino degli anni ’90 ed i cui libri sono sempre ai primi posti di vendita.

Anche dalle precedenti generazioni, naturalmente, ci sono stati scrittori turchi che hanno trattato il tema dell’immigrazione, ed in particolare a Berlino. I più famosi sono Aras Ören (Bitte nix Polizei,  Kreuzberg Antalilari, Berlin-Savignyplatz) e Emine Sevgi Özdamar (Die Brücke vom Goldenen Horn e Seltsame Sterne starren zur Erde). Il libro Seltsame Sterne starren zur Erde ha oggi una forte valenza storica riguardo al periodo in cui la città era divisa in due:

Forse il cane aveva smarrito il cammino, ma non era un cane di Berlino est. Anche i cani non potevano oltrepassare il Muro…[16] (…) Quando io uscii dalla metropolitana a Berlino ovest mi stupii. “Qui piove proprio come nella parte est … Dirk mi presentò: “Ecco l’unica turca che non va a lavorare a Berlino ovest, bensì a est”…[17] (…) Anche il Muro dalla parte ovest era pieno di scritte, come le pareti dei bagni nelle birrerie degli studenti …  BERLINO OVEST È IL CLITORIDE DELLA DDR….[18] 

Si è avuto un vero e proprio fenomeno turco nella Berlino degli anni novanta e sono state soprattutto le donne ad avere più successo. Dalla citazione che segue, tratta dal libro di Clement sulla scena culturale della capitale degli anni novanta, ci si può fare un’idea di ciò di cui sto parlando:

La musicista AZIZA A. apparteneva anche al gruppo Kanak Attak. Cresciuta a Berlino-Steglitz e trasferitasi poi a Kreuzberg, fu per cinque anni con il suo CD di debutto “Es ist Zeit” sui titoli dei giornali nazionali. Da allora è considerata come il fiore all’occhiello femminile turco-tedesco dell’Hip hop orientale, e si adatta perfettamente al cliché della ribelle rap che si mette contro la tradizione turca … Nubün, una band di donne che suona jazz curdo, ha influenzato allo stesso modo la scena musicale berlinese … Quest’anno, per la prima volta, ha avuto luogo il festival cinematografico turco al Zoopalast con produzioni della Turchia e di altre nazioni. Il regista Neco Celik tenta di rappresentare, con il suo film di debutto “Alltag”, un incrocio a Kreuzberg (precisamente a Naunyn- angolo Mariannenstraße, quartiere in prevalenza abitato da turchi e definito come la “piccola Istanbul”), durante un giorno ed una notte  dal punto di vista di un ragazzo tedesco che vi è cresciuto. Nursel Köse si è fatta da tempo un nome come cabarettista, regista, autrice, poetessa e drammaturga. In “Anam” debutta come attrice protagonista. Il film racconta la storia di emancipazione di una donna di origine turca che lavora facendo le pulizie… Nursel Köse e Serpil Ari, entrambe fondatrici del gruppo di cabaret le Bodenkosmetikerinnen, lavorano attualmente al loro nuovo programma…[19] 

Due sono le scrittrici più rilevanti degli ultimi anni: Yadé Kara e Dilek Zaptcioglu.

Yadé Kara, nata nel 1965 in Turchia. Con il suo libro Selam Berlin ci dà una spumeggiante testimonianza di quei giorni irripetibili e straordinari della caduta del Muro di Berlino, i cui effetti si sono protratti fino ai nostri giorni:

Le Trabant (era l’unica macchina in commercio nella DDR ed i cittadini della Repubblica Democratica dovevano aspettare 4-5 anni dalla domanda di acquisto prima di averla) oltrepassavano il confine di Bornholmerstraße per entrare a Berlino ovest [20]  (…) Quelli di Berlino est entravano e uscivano dallo schermo televisivo, attraversando il Muro al Checkpoint Charlie e sbucavano a ovest dritti su Kurfürstendamm. Gente allegra e felice al Café Kranzler[21] (…) All’improvviso, il mondo intero si interessava alle strade, alle piazze, ai luoghi della mia infanzia. Le macchine strombazzavano, la gente gridava, faceva baldoria, esultava e festeggiava fino a notte fonda. Ballava, rideva e cantava una nuova Berlino. Volevo assolutamente lanciarmi nella grande festa berlinese, esserci anch’io, ecco cosa volevo[22] (…) Quelli di Berlino est portavano giacche beige e grigie. Infagottati lì dentro avevano un’aria piuttosto per bene. Non erano grassi come quelli di Berlino ovest. No, loro avevano un aspetto smunto e insulso. Ma gli occhi erano vivaci. Osservavano tutto attentamente. La stazione, le variopinte réclame dei pornoshop di Beate Uhse, i maschioni Malboro alle edicole, le bionde che sorridevano dalle copertine di Playboy, Vogue, Marie Claire e Cosmopolitan[23]. Il meraviglioso fulgore offerto dall’occidente: cioccolata Kinder, Toblerone, Ricola, gomme Wrigley’s e sigarette Pall Mall – tutto a portata di mano.[24] (…) A Wittenbergplatz scesero in massa. Che stava succedendo? Mentre ancora cercavo di capacitarmi, salirono le prime persone con i sacchetti del Kadewe. Ma sì, il “Kaufhaus des Westens” (Il più grande centro commerciale di Berlino ovest). Anch’io per prima cosa sarei andato lì…[25] (…) Mi aprii un varco tra la folla e andai verso la Porta di Brandeburgo. C’erano più giornalisti che berlinesi. Armati di telecamere, cavalletti e obiettivi, se ne stavano a morire di freddo davanti al Muro farfugliando nei microfoni di BBC, CNN, abc, channel four, TRT, ARD, ZDF… Un brusio, un fruscio, un miscuglio di tutte le lingue del mondo, “The Berlin Wall…”, “… le gouvernement d’Allemagne…”, “artik yeni bir sayfa allmanya tahrihinde basladi…”, “Berliskaja stjena ruchnula…”. Quel mormorio si levava dal Muro di Berlino e attraverso i cavi saliva al cielo pallido, lasciava la Terra e raggiungeva i satelliti nello spazio, da dove immagini e commenti di sentinelle e berlinesi intirizziti atterravano, fra danze e colpi di martello, in ogni soggiorno del pianeta. Tutti aspettavano l’apertura della Porta di Brandeburgo – e quella si faceva aspettare. Sul lato occidentale del Muro, la gente menava martellate a più non posso, mentre lui opponeva una fiera resistenza. Io me ne stavo fermo e mi sfregavo le mani per scaldarmi. Alcuni ragazzi avevano indovinato che l’occasione era buona e subito erano entrati in azione. Coloravano i resti del Muro con lo spray e li incollavano sul legno. I turisti di Kyoto, Miami e L.A. prendevano la palla al balzo. A New York e a Tokyo, quei frammenti di graffiti sarebbero stati rivenduti in cambio di dollari sonanti e yen ancora più sonanti. Un signore anziano col cappotto grigio venne verso di me. Mi feci da parte per lasciarlo passare, ma lui mi apostrofò. “Giovanotto, le dispiace?”. E indicò un graffito sul Muro con sopra delle teste verdi e una stella rossa. La mano gli tremava. “Ma le pare” mi sentii dire. Mica ero un mostro, io. Mi allungò martello e picozza e vidi che il dorso della mano era macchiato di nero. Mi misi al lavoro. “Solo la stella”, disse tremante.[26] (…) In Romania arrestavano Ceausescu. Erich Honecker lasciava la DDR svignandosela in Cile. Tutto il blocco orientale era in fermento, nessuno aveva un quadro chiaro della situazione e una nuova libertà stava salendo alla ribalta della cronaca mondiale. A Berlino, quella nuova libertà si toccava con mano. Il mercato nero era fiorente. Russi, rumeni, polacchi, prendevano d’assalto i negozi di elettrodomestici. A Bahnhof Zoo, il traffico di valuta prosperava, russo e polacco erano diventate le lingue commerciali. Berlino era una grande fiera [27]  (…) 

Dilek Zaptcioglu non solo ci dà testimonianza di alcune tematiche già trattate, ma ci introduce anche nella spiacevole situazione tra turchi e neo nazisti. Il suo Der Mond isst die Sterne auf  ha ricevuto il Gustav-Heinemann-Friedenpreis del 1999; prendendo a pretesto una caduta del padre di Ömer – Seyfullah –  nel fiume Sprea, forse provocata dai Naziskin, l’autrice solleva gradualmente numerosi argomenti, a volte scottanti (i problemi tra turchi e tedeschi, veniamo a sapere, sono iniziati con la caduta del Muro):

“A Berlino, finora, i turchi hanno convissuto in pace con i tedeschi. Ma la caduta del Muro ha cambiato totalmente l’atmosfera della città. Adesso sembra che la nuova capitale sia ridiventata il simbolo dell’odiata Germania. È forse caduto il Muro sulle teste dei turchi?”… [28]

“Il discorso cadde inevitabilmente sullo skinhead, che subito dopo la caduta del Muro, era finito accidentalmente a Kreuzberg, alla ricerca del suo fratello di sangue nella parte ovest. Non aveva la benché minima idea di essere in un negozio di verdura turco e aveva chiesto informazioni per una strada di Moabit. Quando si era accorto di essere giunto nella zona sbagliata di Berlino, si era precipitato fuori in fretta e furia, il proprietario del negozio dietro di lui, e quando lo Skin si era voltato spaventato per guardare chi battesse alle sue spalle, aveva scorto una lunga grassa banana[29]. L’intera Oranienstraße aveva pianto dal ridere, primo fra tutti l’uomo della verdura, che batteva le mani alla sua coscia, mentre lo Skin sbucciava la banana con il viso sbiancato, la divorava in un secondo e scompariva nella metropolitana …”[30]

“Sai quanti turchi vivono in questa città?”, mi chiese. Io sollevai le spalle.
“Centosessanta-, centoottantamila, se non si contano gli illegali. Se noi non vi seguiamo passo dopo passo, possiamo effettivamente fare le valigie e andarcene”
“Invece di pedinare i turchi, dovreste andare dietro ai Nazi. Sono loro che combinano i guai, non noi”.
“E invece sì, anche voi ne combinate abbastanza”, mi disse…[31]

Nel proseguo della storia il lettore ha modo di conoscere i numerosi locali turchi, ad esempio l’Irmak a Kottbusser Tor, e di come i giovani turchi abbiano influito nella vita notturna e culturale di Berlino. Il fratello di Ömer, Adnan gestisce un’attività di successo:

Il nostro Diwan si trovava in Nürnberger Straße, che più tardi si è trasformato in un miglio di piacere per turchi. Dapprima qui vi era solo un unico ristorante, poi aprirono tutti: Diwan, Pascha, Mavi, Paparazzi.[32]

Il romanzo termina con la morte di Seyfullah e con la sua sepoltura. Tra le attenzioni dei media, la bara viene avvolta nella bandiera della sua nazione e mentre lui, con la sua morte, ritorna alle sue origine turche, il figlio intraprende la strada del suo futuro; un futuro tedesco e roseo, garantito da quella istruzione, che non lo fa sentire inferiore a nessuno:

La bara di mio padre era stata avvolta in una bandiera turca, telecamere e reporter assediarono il piccolo cortile della moschea… [33] (…) Kenan iniziò lo studio di medicina, io mi iscrissi a legge….[34]

 


[1]Ingeborg Böer, Ruth Haerkötter, Petra Kappert, Türken in Berlin 1871 – 1945;  Eine Metropole in den Erinnerungen osmanischer und türkischen Zeitzeugen, de Gruyter, Berlin · New York, 2002, pag. 266

[2]Emine Sevgi Özdamar, Seltsame Sterne starren zur Erde, KiWi, Köln, 2004, pag. 104

[3]Ingeborg Böer, Ruth Haerkötter, Petra Kappert, Türken in Berlin 1871 – 1945;  Eine Metropole in den Erinnerungen osmanischer und türkischen Zeitzeugen, de Gruyter, Berlin · New York, 2002, pag. 4 

[4]Ibidem, pag. 170

[5]Ibidem, pag. 313

[6]Ibidem, 2002, pag. 232

[7]Ibidem, pag. 256

[8]Ibidem, pag. 319

[9]Ibidem, pag. 266

[10]Ibidem, pag. 298

[11]Ibidem, pag. 299

[12]Articolo di Ipek Ipekcioglu, Berlin à la Turka, in: Hans-Jörg Clement, Szene Berlin – Ein Kultur-Lesebuch, Bostelmann & Siebenhaar, Berlin, 2003, pag. 234

[13]Dal racconto Kanak Attak: Rebellion der Minderheit in: Feridun Zaimouglu, Kopf und Kragen · Kanak-Kultur-Kompendium, Rotbuch, Hamburg, 2006, pag. 8 – 9

[14]Ibidem, pag. 19

[15] Romanzo. Il titolo in italiano significa “Feccia”.

[16]Emine Sevgi Özdamar, Seltsame Sterne starren zur Erde, KiWi, Köln, 2004, pag. 15

[17]Ibidem, pag. 40 – 41

[18]Ibidem, pag. 65

[19]Articolo di Ipek Ipekcioglu, Berlin à la Turka, in: Hans-Jörg Clement, Szene Berlin – Ein Kultur-Lesebuch, Bostelmann & Siebenhaar, Berlin, 2003, pag. 237 – 238

[20]Yadé Kara, Selam Berlin, Diogenes, Zürich, 2003, pag. 8

[21]Ibidem, pag. 8

[22]Ibidem, pag. 8-9

[23] Per farsi un’idea di ciò basti guardare il film “Goodbye Lenin”

[24]Yadé Kara, Selam Berlin, Diogenes, Zürich, 2003, pag. 21

[25]Ibidem, pag. 22

[26]Ibidem, pag. 46 – 47

[27]Ibidem, pag. 44

[28]Dilek Zaptcioglu, Der Mond isst die Sterne auf, cbt, München, 2006, pag. 38

[29]La banana era il simbolo della società del benessere dell’ovest tra i paesi comunisti. Non poteva essere importata nella DDR.

[30]Dilek Zaptcioglu, Der Mond isst die Sterne auf, cbt, München, 2006, pag. 70 

[31]Ibidem, pag. 52-53

[32]Ibidem, pag. 67

[33]Ibidem, pag. 214

[34]Ibidem, pag. 216 

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